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Beclometasone poco attivo sul broncospasmo « dott. Mario Pacella

Beclometasone poco attivo sul broncospasmo

Il Beclometasone, farmaco prescritto ogni anno a 2 milioni di bambini e adolescenti italiani, ha un’efficacia modesta nel prevenire la comparsa di broncospasmo (wheezing) durante un’infezione virale delle vie aeree superiori (il cosiddetto “fischio”) in bambini che avevano avuto episodi in passato e che erano perciò a rischio di ricaduta. Un ‘fischio’ frutto di una contrazione anomala della muscolatura liscia dei bronchi che, come conseguenza, determina un restringimento della spazio all’interno delle vie respiratorie. Analogamente, anche la riduzione dei sintomi è risultata modesta.
Questo, in sintesi, è quanto emerso dallo studio “Efficacia del beclometasone versus placebo nella profilassi del wheezing virale in età prescolare (ENBe)”finanziato dall’Agenzia italiana del farmaco e coordinato dal Laboratorio per la Salute Materno Infantile dell’IRCCS-Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri in collaborazione con l’Associazione culturale pediatri (Acp).

I risultati di questa sperimentazione, che ha coinvolto 40 pediatri di famiglia di 9 Asl italiane e 525 bambini con i loro genitori, verranno presentati l’11 ottobre all’Urban Center di Monza nel corso del XXV Congresso Nazionale Acp.
Il farmaco attivo ha ridotto del 4% (dall’11 al 7%) l’incidenza del wheezing rispetto al placebo, ma la differenza non è risultata significativa sia dal punto di vista clinico che statistico.
“Nonostante il beclometasone sia un farmaco antiasmatico, in Italia si caratterizza per essere prescritto principalmente per curare raffreddore, tosse e mal di gola. Nello studio ENBe non sono state osservate differenze nei tempi di scomparsa dei sintomi di infezione – ha spiegato Antonio Clavenna, ricercatore dell’IRCCS-Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri che ha coordinato lo studio – e anche i genitori, che non erano a conoscenza del tipo di terapia ricevuta dal figlio, hanno giudicato come efficace sia il trattamento con il farmaco che con il placebo”.

La terapia ricevuta non ha, inoltre, modificato in modo significativo la probabilità di essere visitati nuovamente dal pediatra, di accedere al Pronto Soccorso, o di essere ricoverati in ospedale.
“Lo studio ENBe rappresenta la prima sperimentazione clinica formale (randomizzata e in doppio cieco) indipendente condotta nelle cure primarie pediatriche in Italia e in Europa – ha affermato Maurizio Bonati, responsabile del Laboratorio per la Salute Materno Infantile – e dimostra come sia possibile fare ricerca in modo rigoroso e appropriato anche nei contesti di cura pediatrica extraospedalieri. Una ricerca che non prescinde ma è parte della cura e che è momento di formazione/educazione sul campo”.

Sull’importanza del coinvolgimento dei pediatri di famiglia concorda anche Paolo Siani, presidente dell’Associazione Culturale Pediatri: “Lo studio ENBe ha rappresentato un’occasione per riflettere sul ruolo del pediatra di famiglia come ricercatore e garante della salute del bambino. Come singoli pediatri e come Associazione è importante riflettere sulle potenzialità e problematiche della ricerca in ambito extra-ospedaliero, partendo dall’esperienza vissuta”.

“Lo studio ENBe è stato possibile solo grazie al finanziamento pubblico per la ricerca indipendente – ha aggiunto Silvio Garattini, direttore dell’Irccs-Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri – e documenta ancora una volta il divario tra la frequente prescrizione di un farmaco e la scarsità di evidenze a supporto della sua efficacia”.

Fonte: quotidianosanità

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