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Piango, dunque sono! « dott. Mario Pacella

Piango, dunque sono!

Un articolo pubblicato alla fine del 2012 sulla rivista “Developmental Psycology” scritto dall’equipe di Marsha Weinraub dell’Università di Temple negli Stati Uniti (Dev Psychol. 2012 Nov;48(6):1511-28. doi: 10.1037/a0027680. Epub 2012 Mar 26. Patterns of developmental change in infants’ nighttime sleep awakenings from 6 through 36 months of age. Weinraub M, Bender RH, Friedman SL, Susman EJ, Knoke B, Bradley R, Houts R, Williams J) ,riguarda l’opportunità o meno di prendere il bambino in braccio appena inizia a piangere, concludendo che se la madre corre subito a prendere il bambino in braccio, quando piange durante la notte, quest’ultimo  acquisirà più tardivamente i ritmi del sonno .

Il bambino di meno di un anno usa il pianto come linguaggio, perciò usa il pianto come fossero parole. È l’unico sistema che ha per comunicare con l’ambiente.

I genitori non devono pensare che il bambino, quando piange, abbia necessariamente una malattia.

Se è malato, infatti il bambino è debole e anziché piangere ,rifiuterà il cibo, ma soprattutto sarà assopito, spento, con gli occhi chiusi, presentandosi disinteressato alle normali attivita’ che compie normalmente, per esempio smetterà di giocare con le cose che ha intorno.

Quando la malattia è lieve il bambino piange, ma in questo caso i genitori riconoscono questo tipo di pianto con facilità, infatti la tonalità tende a diminuire, cioè il bambino perde forza  nel pianto.

Nei casi invece in cui il bambino con il pianto pensa di parlare si vedrà che, come nel caso di coliche , più passa il tempo più piange con forza e intensità. Lo stesso vale quando il bambino con il pianto chiede il latte o il cibo in generale.

Da questa prima valutazione i genitori hanno capito che non si devono preoccupare quando il bambino piange più forte (è il caso di quando ha fame o vuole essere preso in braccio), ma quando piange sempre più lentamente e con meno forza, perché è il segno di malessere.

Il pianto in realtà ha una valenza positiva perchè è il modo in cui il bambino cerca di comunicare con l’ambiente. Per questo è importante che i bambini piangano perché devono imparare a comunicare con i genitori e soprattutto a ottenere risposte. È sbagliato anche prevenire le richieste del bambino per evitare che pianga.

Il bambino di sei mesi può piangere in genere per due motivi: perché ha fame o perché vuole essere preso in braccio.

Il bambino deve imparare a comunicare con l’ambiente esterno, cioè deve imparare a chiedere ciò di cui ha bisogno e lui lo farà, nei primi mesi di vita, proprio con il pianto. È importante che il bambino lo chieda perché solo così si rafforzerà nell’autostima in modo che capirà che è capace di chiedere ciò di cui ha bisogno e ottenere un risultato da parte dell’ambiente esterno, ecco perché in questo modo gli si rafforza l’autostima.