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Il Dolore in età Pediatrica « dott. Mario Pacella

Il Dolore in età Pediatrica

Per molti anni la comunità scientifica ha considerato il neonato ed a maggior ragione il prematuro, incapace di provare dolore (Nespoli 1996). Questa convinzione si basava sul presupposto che i neonati fossero dotati di una soglia del dolore più elevata e fossero incapaci sia di trasmettere sensazioni somatiche dolorose dalla periferia al sistema nervoso centrale, sia di memorizzarle ed integrarle a livello corticale (Eland 1987).

Negli ultimi 17 anni numerosi studi sperimentali e clinici (Moretti e Otaviano 1998) hanno dimostrato l’esistenza della percezione del neonato già dalla 26a settimana di gestazione. Questi studi hanno precisato le caratteristiche della nocicezione in funzione dell’età gestazionale. Le terminazioni libere destinate a svolgere il ruolo di nocicettori appaiono nelle regione peribuccale nel corso della 7a settimana della vita endouterina. Si diffondono in seguito rapidamente all’intera faccia (9 settimane), al tronco e alla radice degli arti (15 settimane) e finalmente all’insieme dei tegumenti prima del termine della 20a settimana (Dalens 1995).

La differenziazione delle vie afferenti è raggiunta, ad eccezione della loro mielinizzazione, prima della fine del periodo embrionario.

La mancanza della mielinizzazione è stata proposta come un indice di immaturità del sistema nervoso del neonato ed è un argomento spesso usato per sostenere che i neonati a termine e i prematuri non sono capaci di percezione dolorosa. L’incompleta mielinizazione implica, solamente, una più lenta velocità di conduzione dei nervi periferici o nei tratti nervosi centrali del neonato, è, comunque, completamente compensata dalla più breve distanza (Anand e Hickey 1987).

In ogni caso, all’inizio della 29a settimana di vita endo-uterina, le vie spinali lunghe sono completamente differenziate e mielinizzate (Dalens 1995).

L’insieme di questi dati anatomici, più gli ultimi studi biologici ed elettrofisiologici, suggerisce fortemente l’esistenza di funzioni coricali precoci.

Così, già nel prematuro, la maturità anatomica e neurochimica è sufficiente perché gli stimoli nocicettivi siano normalmente trasmessi (Anand e Hickey 1987); ma ciò non si realizza per il meccanismo protettivo dell’antinocicezione. Il neonato umano non dispone affatto dei mezzi completi di difesa contro il dolore che non saranno totalmente efficaci che nel secondo trimestre di vita. Ma se non vi sono neurotrasmettitori antinocicettivi alla nascita, esistono per contro dei recettori oppioidi maturi (Dalens 1995). In conclusione, il prematuro, proprio in virtù della sua immaturità, ha, dunque, una soglia del dolore più bassa e una percezione più intensa, diffusa e duratura dello stimolo doloroso (Moretti e Ottaviano 1998).

Il dolore può avere conseguenze negative ed anche mortali nel neonato. Alcuni autori (McCaffery e Beebe 1993) sostengono che il dolore, nei neonati, possa essere talvolta rischioso per la vita stessa, specialmente se il bambino risponde con il pianto e con conseguente diminuita ossigenazione a cui può seguire un’emorragia intraventricolare che è una delle più importanti cause di morte dei prematuri.

La valutazione degli effetti a lungo termine delle esperienze dolorose del bambino è difficile, ma importantissima e non solo a livello fisico.

Per quanto riguarda la memorizzazione del dolore, uno studio sulle risposte comportamentali di bambini durante un programma di vaccinazione, dimostra che già verso i 9 mesi dolore’età alcuni bambini piangono prima della vaccinazione se ne hanno avuto un’altra 6 settimane prima (McCaffery e Beebe 1993). È dunque il dolore che è qui in causa: il cambiamento del comportamento del neonato non può più essere legittimamente considerato come di natura semplicemente riflessa o sottocorticale. Al contrario, esso implica una memorizzazione, cioè a dire una partecipazione corticale con integrazione. Il dolore in sé e per sé non è ricordato, neanche negli adulti, si ricordano soltanto le esperienze che al dolore erano associate. Le circostanze del dolore, le sue cause, la sua localizzazione, il suo contesto emozionale sono memorizzati. A volte è l’apprensione che resta nel ricordo e non il dolore veramente sentito. Impossibile ricordarsi con precisione un fortissimo mal di denti. Il dolore è estraneo al pensiero. Tuttavia, se riappare, esso è riconosciuto e identificato: non è stato dimenticato (Gauvain-Piquard e Meignier 1993), anzi, sembra che il dolore, e la paura che suscita, si accumulino nel tempo (Kuttner 1999).

 Oggi, anche se con difficoltà, il dolore si può riconoscere e valutare tramite molte scale comportamentali nei bambini che non siano in grado di comunicare verbalmente la loro sofferenza. Queste scale sono basate sulla valutazione di risposte fisiologiche (per esempio, la frequenza cardiaca, livello di ossigeno) o di comportamenti (per esempio, pianto, espressione facciale, atteggiamenti esclusivi) durante un certo periodo di tempo specifico. Ma tra breve sarà la dott.ssa Clerico, che da anni si occupa del problema, ad illustrarci questi metodi.

Il bambino nega di sentire dolore quando è evidente un danno ai tessuti o quando il suo comportamento alterato rivela il dolore, si devono indagare a fondo le ragioni della contraddizione fra reperti fisici, comportamento e dichiarazioni verbali. Alcune paure possono spingere i bambini a nascondere il proprio dolore. Inoltre, bambini che stanno male da molto tempo o bambini in cui il dolore è cresciuto gradualmente possono non rendersi conto che la sensazione che stanno provando è dolore. I bambini possono negare liberamente ed in maniera efficace il proprio dolore o possono mascherarlo perché sono convinti che ammettere di avere dolore possa dar luogo a spiacevoli conseguenze.

I bambini, inoltre, hanno un’enorme paura dell’ago: iniezioni o prelievo che sia. In uno studio (McCaffery e Beebe 1993) condotto su 242 bambini ospedalizzati di età compresa tra i 4 e i 10 anni, il 49% di essi sosteneva che l’ago o la puntura era la cosa peggiore di tutte, compreso il dolore chirurgico, di cui avevano sofferto durante il ricovero in ospedale. Se il bambino impara che quando dice di aver dolore come conseguenza “arriva l’ago”, egli può decidere che è preferibile sopportare il dolore che ha, piuttosto che essere sottoposti al “sistema” per mandare via quel dolore.

Molti bambini, non avendo ancora acquisito il concetto di tempo e non rendendosi conto che l’iniezione è la causa del passato dolore (Eland 1986), non capiscono la logica che sta dietro la somministrazione di un’iniezione dolorosa  per ottenere sollievo dal dolore. Inoltre, il bambino può credere che, se dice di non avere dolore, può andare a casa prima ed evitare così degli interventi dolorosi. Qualche volta il problema non sta nel fatto che un bambino nega un dolore che sa di avere ma nel fatto che lui stesso non sa riconoscerlo, specialmente quando è cronico.

Col passare del tempo, infatti, il bambino sembra perdere i termini di paragone e dimentica cosa vuol dire non avere dolore. Il bambino, inoltre, può avere difficoltà ad identificare il dolore anche quando esso non è cronico ma cresce gradualmente. Il dolore che insorge o cresce improvvisamente evoca una risposta immediata anche nel neonato ma quando il dolore cresce insidiosamente, la consapevolezza e, quindi, le risposte del bambino possono essere meno drammatiche o quasi assenti (Mccaffery e Beebe 1993).

 

RISPOSTA AL DOLORE ACUTO

(segni di disagio)

TEMPO Þ

ADATTAMENTO

(diminuzione dei segni nonostante l’invariata intensità del dolore)

 

Risposte fisiologiche

 

Risposte fisiologiche

Pressione sanguigna

Frequenza cardiaca

Frequenza respiratoria

Pupille dilatate

Sudorazione

Þ

Normale pressione sanguigna

Normale frequenza cardiaca

Normale frequenta respiratoria

Normale diametro pupillare

Cute asciutta

 

Risposte comportamentali

 

Risposte comportamentali

Si focalizza il dolore

Riferisce il dolore

Piange e si lamenta

Si massaggia la parte dolorante

Tensione muscolare

È accigliato

Þ

Þ

Þ

Non riferisce dolore se non gli è richiesto

È tranquillo, dorme o riposa

Rivolge l’attenzione a cose diverse dal dolore

Inattività fisica, immobilità

Normale espressione del viso o viso espressivo

 

Fig. 1 confronto tra il dolore acuto e l’adattamento ad dolore (tratto da MCCaffery e Beebe 1993, pag. 4)

Secondo Gauvain-Piquard e Meigner (Sandrin 1995) il motivo del diniego è ancora più complesso. Per alcuni bambini il desiderio di proteggere l’entourage familiare e di rispondere alle sue attese, tacendo il proprio dolore, sembra essere predominante. Esprimere il proprio dolore è una specie di accusa diretta contro i familiari, che non sono capaci di proteggerli. Più profondamente, il dolore è sempre sentito come la punizione di una colpa immaginaria. Il bambino lo imputa al fatto di non essere stato abbastanza saggio, abbastanza educato. Se ne attribuisce in parte la responsabilità. Per altri (Sandrin 1995) questo tacere è frutto dell’esperienza. Hanno sentito dire talmente tante volte: “questo non fa male, tu esageri”, che non esprimono più il proprio dolore. Hanno perso la fiducia necessaria per fare questa confidenza. A volte, è l’intensità stessa del dolore che riduce al silenzio, con un conseguente vissuto di solitudine assoluta, nella convinzione che ogni parola sia vana (Natoli 1998) e che dolore’altra parte gli altri (cioè i medici, gli infermieri, i familiari) dovrebbero sapere, vedere, comprendere. Per altri ancora (Sandrin 1995) il silenzio è il miglior modo di resistere. È un modo un po’ magico per illudersi che il dolore non ci sia e per non farlo esistere.

Ai miti sopracitati se ne potrebbero aggiungere altri di cui alcuni strettamente farmacologici: si è pensato, infatti, che gli analgesici potenti non dovessero essere utilizzati nei bambini a causa degli effetti collaterali e del rischio di assuefazione ed in quanto la valutazione dell’efficacia poteva risultare difficile.

Un altro ostacolo importante è la scarsa diffusione, nel trattamento del dolore pediatrico delle tecniche non farmacologiche (tecniche cognitive, comportamentali, fisiche), le quali possono essere somministrate non solo dagli operatori sanitari ma anche dai genitori, insegnati, volontari, ma sempre e comunque, in una programmazione di équipe nella quale ha parte attiva, quando è possibile, anche il bambino.

Esempi di interventi sulla sfera cognitiva sono: la psicoterapia, l’ipnosi e le sue applicazioni (quali il guanto magico e la tecnica degli interruttori), l’aiuto all’immaginazione, la distrazione (le bolle di sapone, per i più piccoli), l’attenzione, le scelte e il controllo, l’informazione, ecc.

Per la sfera comportamentale: le modificazioni comportamentali, il biofeeback, la terapia rilassante (con la musica o i clown), ecc.

Oggi sappiamo che “il mancato trattamento del dolore provoca una distruzione di personalità equivalente alla distruzione cellulare causata dalla condizione patologica stessa” (Eland 1986).

Il dolore è per il bambino, così come per l’adulto, un’esperienza spiacevole sia a livello sensoriale che emozionale. Si è a lungo discusso se i neonati possano sentire dolore, a causa dell’immaturità del loro SNC, soprattutto per la incompleta mielinizzazione delle fibre nervose. Alcuni studi eseguiti su tale questione hanno mostrato che i neonati avvertono il dolore. Confrontando l’uso di analgesici in età adulta ed in età pediatrica risulta evidente che i bambini ricevono meno frequentemente ed in piccole dosi i potenti oppioidi. I neonati, inoltre, hanno ancora minor possibilità di ricevere un adeguato trattamento per il loro dolore. Le ragioni per privare dell’adeguata analgesia tale fascia di pazienti sono numerose ed includono: una errata preoccupazione che essi possano essere danneggiati dall’uso di tali farmaci, la persistente errata nozione che i bambini non rispondano al dolore nello stesso modo degli adulti, nonché frequenti errori nella posologia.

La percezione del dolore è altamente soggettiva ed estremamente variabile (tab.1); differenze in tal senso sono state più volte descritte tra pazienti diversi per sesso, età, stato sociale, etnie e paesi. Inoltre la comunicazione di una esperienza così altamente soggettiva è fortemente legata alle capacità verbali e ciò pone il bambino in grave svantaggio nel trasmettere il grado della propria sofferenza.

 

Definizione 1 : Concreta. Il dolore è “una cosa”, “qualcosa”, “esso”. Viene definito mediante una localizzazione nel corpo o tramite le sue spiacevoli proprietà fisiche; qualcosa che fa male, o è associata ad una malattia o un trauma.

Definizione 2 : Semiastratta. Il dolore è descritto in termini di sentimenti o sensazioni, senza una specifica correlazione ad una parte del corpo. I bambini usano dei sinonimi, quali male o crampo, per descrivere la qualità del dolore o lo descrivono come associato ad una malattia.

 

Definizione 3 : Astratta. Il dolore viene descritto in termini fisiologici, psicologici o psicofisiologici. I bambini si riferiscono ad un substrato fisiologico o scopo del dolore – dolore come danno che parte dai nervi. Il dolore è anche emozionale, inteso come preoccupazione, ansia o depressione.

 

Tab. 1 Definizioni infantili del dolore.

I bambini possono reagire al dolore con atteggiamenti di distacco, pensando che il dolore sia normale e debba essere tollerato o negandolo per paura dell’ulteriore stress associato al trattamento. Tale distacco può essere interpretato dallo staff come segno di benessere o di adeguata reazione al trattamento. È necessario dunque migliorare i metodi di valutazione del dolore per consentire un miglior trattamento specialmente nei bambini in età prescolare e preverbale per i quali la comunicazione è molto difficile. Per superare tali inconvenienti sono stati formulati numerosi metodi di valutazione che fanno perno sulle autovalutazioni oppure sugli indici comportamentali. Tali sistemi sono risultati più volte ugualmente efficaci nel valutare il dolore anche nei suoi aspetti più controversi.

Restano comunque problemi di quantificazione del dolore nel bambino. Ad esempio la differenziazione tra ansia e dolore e le modificazioni comportamentali tipiche delle successive fasi dello sviluppo del bambino modificano significativamente la risposta al dolore e possono rendere alcuni test adeguati solo ad alcuni gruppi di età.

L’approccio generale, le tecniche specifiche e le nuove idee su come controllare il dolore del bambino sono inestricabilmente legate alle nostre conoscenze circa il meccanismo fisiologico di percezione del dolore che trasforma lo stimolo nocicettivo in una percezione del dolore con attributi unici di localizzazione, durata, intensità e costruisce la cornice per lo sviluppo dei metodi farmacologici e non farmacologici utilizzati nel controllo del dolore. Noi oggi sappiamo che il sistema nocicettivo è un sistema sensorio molto più sensibile e complesso di quanto si credesse. Il sistema che media la nostra percezione del dolore è meravigliosamente complesso ed ha la capacità di rispondere differentemente a diversi stimoli nocicettivi cosicché un’iniezione non produrrà necessariamente la stessa quantità di dolore per tutti i bambini e il sistema nocicettivo risponderà differentemente in relazione in relazione al differente contesto in cui il bambino riceve l’iniezione. La qualità e l’intensità del dolore non sono semplicemente correlate alla natura ed all’estensione del danno tessutale, infatti l’attività neuronale evocata da tale stimolo può essere modificata da sistemi interni di controllo.

La conoscenza degli aspetti generali sulla nocicezione sui sistemi endogeni di inibizione e sulla varietà di fattori interni ed ambientali che possono modificare il dolore è necessaria non solo per selezionare le più appropriate tecniche terapeutiche, ma anche per la ottimale applicazione di tali metodiche. Il razionale per la scelta di un particolare trattamento nel bambino, deve considerare le condizioni o la natura dello stimolo che provoca il dolore, nonché le situazioni e le emozioni che possono infierire sul dolore.

I metodi di misurazione del dolore possono essere classificati come comportamentali, psicologici o fisiologici, in base al tipo di risposta al dolore che viene misurata (Tab. 2).

 

Comportamentali-osservazionali

 

Posizione del corpo

Comportamenti specifici del dolore

Espressioni facciali

Pattern di vocalizzazione o pianto

 

 

Fisiologici

 

Riflessi

Freq. Cardiaca

Freq. Respiratoria

Indice di fatica

Livello di b -endorfine

 

Psicologici

Proiettivo

 

Self-report

Colori

Forme

Illustrazioni

Disegni

Visual analog scales

Interviste

Questionari

Termometri

Facial scales

Tab.2 Metodi per stimare il dolore in bambini ed infanti.

I metodi di misura comportamentali includono alcune procedure di osservazione con le quali vengono i diversi tipi di comportamento che i bambini manifestano in presenza di dolore, così come la frequenza con cui si manifestano (es. la durata del pianto di un bambino durante un’iniezione). Presumibilmente una valutazione oggettiva della natura e della frequenza dei comportamenti manifestati dai bambini in presenza di dolore, fornisce una accurata stima dell’intensità delle loro esperienze dolorose.

La misurazione di tipo fisiologico del dolore include una varietà di tecniche che monitorizzano le risposte corporee ad uno stimolo nocicettivo, come ad esempio, l’aumento della frequenza cardiaca o respiratoria. Una descrizione della natura e dell’estensione delle risposte corporee al dolore potrebbe costituire un indice oggettivo per l’esperienza algica infantile. Sia le metodiche comportamentali che quelle fisiologiche forniscono una stima indiretta del dolore, poiché la presenza o l’intensità del dolore del bambino è desunta solamente dal tipo e dalla grandezza delle loro risposte comportamentali e/o fisiologiche allo stimolo nocicettivo.

I metodi di misura psicologici, che valutano la percezione del dolore secondo la prospettiva infantile, possono fornire una stima indiretta delle diverse dimensioni del dolore.

Al fine di valutare il dolore sono state costruite delle scale quantitative e/o qualitative, l’uso delle quali può fornire utili informazioni riguardo l’intensità, la localizzazione, la durata e la qualità della sensazione algica. I valori numerici associati ai diversi livelli di queste scale sono generalmente selezionati dalla scala di riferimento degli adulti, in rapporto al tipo e al numero di livelli considerati. Il problema comune nell’interpretazione del dolore infantile in base alle risposte delle scale di valutazione è che il punteggio osservato è spesso basato su un numero arbitrariamente assegnato da chi sottopone il bambino al test (es. assenza di dolore = 1; dolore medio = 2; dolore importante = 3) e può quindi non riflettere la reale differenza nei livelli di dolore del bambino.

I metodi più utilizzati sono raggruppati come:

      • eterovalutazione (metodo Karnofsky modificato per l’infanzia)

 

      • autovalutazione (visul analog scale, scala eterocromatica di Huskisson, termometro del dolore, etc).

 

Le eterovalutazioni vengono effettuate dal personale medico, infermieristico o dai genitori, esse però da sole non consentono di inquadrare totalmente il problema essendo estremamente vasta la gamma di reazioni comportamentali possibili.è quindi sempre necessario associare ai risultati così ottenuti quelli desunti dall’autovalutazione.

Tra i metodi di autovalutazione molto usata è la “affective facial scale” (P.A. McGrath), che consiste in una serie di facce con diverse espressioni che sono usate per valutare le dimensioni affettive del dolore, il valore numerico presente sotto ciascuna faccia rappresenta l’intensità del dolore dipinto sulla faccia dal punto di vista dei bambini (Fig. 1).

AUTOVALUTAZIONE

“affective facial scale”

Fig. 1: Affective facial scale

Il termometro del dolore consiste in una scala, verticale od orizzontale, graduata da 0 a 10 o da 0 a 100; 0 è generalmente designato come assenza di dolore, mentre l’altro estremo come “il massimo dolore possibile”. Il bambino indica il livello che viene raggiunto dal suo dolore (FiG. 2).

 

Massimo dolore

10

9

8

7

6

5

4

3

2

1

0

Assenza dolore

 

Fig. 2 Termometro del dolore

Non tutti i metodi di misurazione del dolore sono ugualmente appropriati a tutti i bambini e a tutte le condizioni dolorose, è stata, infatti, riscontrata una differenza di validità dei metodi di auto ed eterovalutazione in rapporto all’età del bambino ed alla possibilità o meno di effettuare l’autovalutazione (tab.3).

TAB. 3 Metodi di valutazione del dolore in rapporto all’età.

Nel reparto di Oncologia Pediatrica del Policlinico Umberto I di Roma, sono stati particolarmente usati per la valutazione del dolore diversi metodi di etero ed autovalutazione tra cui l’affective facial scale (fig.1), la scala eterocromatica di Huskisson (fig.3), il metodo Karnofsky modificato per l’infanzia (fig.4).

 
 

Fig. 3. Autovalutazione: “Scala Eterocromatica di Huskisson”

Le scale utilizzate si sono rivelate utili per aumentare la capacità di rilevazione dell’intensità del dolore nel setting clinico, esse, tuttavia, non sono senza limitazioni: possono infatti essere specifiche per l’ambito in cui sono state sviluppate e possono non iquadrare le variazioni comportamentali tipiche dell’adolescenza.

Scheda del dolore : ETEROVALUTAZIONE

ALIMENTAZIONE

 

GIOCO

PIANTO

LINGUAGGIO

POSIZIONE ANTALGICA

  • Normale

 

  • Scarso appetito

 

  • Mangia dopo insistenza

 

  • Non assume nulla

0

1

2

3

  • Normale

 

  • Solitario

 

  • Poco
  • Assente

0

1

2

3

    1. Occasionale

 

    1. Frequente

 

    1. Continuo

 

  1. Gemito o lamento

0

1

2

3

    1. Normale

 

    1. Poco

 

    1. Risponde appena

 

  1. Non parla

0

1

2

3

    1. Nessuna

 

    1. Protezione parte dolente

 

    1. Posizione obbligata

 

  1. Assoluta immobilità

0

1

2

3

 

Fig. 4: ETEROVALUTAZIONE: Metodo Karnofsky modificato per l’infanzia.

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