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Acidi grassi « dott. Mario Pacella

Acidi grassi

 

Acidi grassi saturi

 

Gli acidi grassi saturi (chiamati anche con l’acronimo SFA, dall’ingleseSaturated Fatty Acids) sono quegli acidi grassi costituiti da una catena carboniosa satura costituita unicamente da legami singoli C-C. Possono essere di origine naturale, o derivati per idrogenazione di acidi grassi insaturi.

 

In natura esistono numerose forme di acidi grassi saturi che differiscono tra loro per il numero di atomi di carbonio della molecola, i quali partendo dai tre atomi dell’acido propionico giungono fino all’acido esatriacontanoico che possiede una catena di 36 atomi di carbonio, e oltre se si considerano i prodotti di sintesi artificiale.

 

I grassi saturi sono presenti in natura sotto forma principale di trigliceridi di origine animale e vegetale; si riscontrano nella quasi totalità della componente grassa dei tessuti animali; possono essere anche di natura vegetale, come quelli dell’olio di cocco, di palma e di semi di palma.

Dal 1950 la maggioranza degli studi ha evidenziato che il consumo di alimenti che contengano elevate quantità di acidi grassisaturi – quindi i grassi della carne e derivati, del latte e derivati (cioè burro e formaggi), lo strutto, ed inoltre alcuni oli vegetali (olio di cocco, di palma e di semi di palma) sia potenzialmente dannoso per la salute. Fonti di grassi con proporzioni maggiori di acidi grassi insaturi sono costituiti da olio di oliva, olio di arachidi, avocado, mais, girasole, soia, ecc.

Associazioni mediche cardiologiche, e autorità governative, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la American Dietetic Association, i Dietisti del Canada, la Dietetic Association britannica, l’American Heart Association, la British Heart Foundation, la World Heart Federation, il National Health Service britannico, la Food and Drug Administration degli Stati Uniti e l’Autorità europea per la sicurezza alimentare rilevano che i grassi saturi sono un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD).

 

Numerose ricerche sistematiche hanno fatto emergere relazioni tra grassi saturi nella dieta e malattie cardiovascolari, mentre esistono molti studi relativi all’associazione con altre patologie: tralasciando l’obesità, accomunata in generale ad elevate assunzioni di alimenti altamente calorici, come i grassi in toto, si rilevano legami tra l’assunzione di grassi saturi con la dislipidemia e con tumori come il cancro al seno, il cancro del colon, il cancro ovarico, il tumore della prostata, mentre prove crescenti indicano che la quantità e il tipo di grassi nella dieta può avere effetti importanti sulla salute delle ossa. È ormai provata l’associazione tra calo della densità minerale ossea e l’assunzione di grassi saturi.

 

I grassi insaturi e polinsaturi (PUFA)

Acidi grassi monoinsaturi

 

L’acido palmitoleico è un esempio di grasso monoinsaturo della serieOmega-7, costituente tipico deitrigliceridi del tessuto adiposo.

 

Gli acidi grassi monoinsaturi (o acidi grassi monoenoici, indicati con l’acronimo MUFA, dall’inglese MonoUnsaturated Fatty Acids) sono acidi grassi caratterizzati dall’avere un solo doppio legame tra tutti quelli presenti tra i vari atomi di carbonio; differiscono in questo dagli acidi grassi saturi (che posseggono solo legami singoli) e da quelli polinsaturi (che hanno invece numerosi doppi legami).

 

Gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) sono molecole la cui struttura, che viene chiamata “catena”, è basata su atomi di carbonio ed è caratterizzata dalla presenza di 2 o più doppi legami, ciascuno tra due atomi di carbonio adiacenti.

 

 

Gli acidi grassi insaturi di solito si presentano sotto forma di oli vegetali liquidi.

Gli acidi grassi saturi vengono metabolizzati più lentamente dall’organismo rispetto agli acidi grassi insaturi.

L’organismo non riesce a produrre gli acidi grassi essenziali, linoleico e linolenico. L’acido arachidonico può essere sintetizzato dall’acido linoleico se esso è fornito all’organismo in quantità sufficiente dalla dieta. Il germe di grano, i semi, gli oli vegetali come quello di cartamo, di girasole, di soia, di colza (il migliore per un buon equilibrio di omega 3 e omega 6) e mais, sono tutti acidi grassi polinsaturi omega 6, che contengono acido linoleico. L’olio di fegato di merluzzo e i pesci grassi contengono acidi grassi insaturi linolenici e sono una buona fonte di acidi grassi omega 3. L’olio di lino contiene grandi quantità di acidi grassi omega 3 e può essere mischiato con gli oli che contengono omega 6 per un equilibrio più sano.

 

Gli acidi grassi insaturi sono importanti per la respirazione degli organi vitali e facilitano il trasporto dell’ossigeno tramite la corrente sanguigna alle cellule, ai tessuti e agli organi. Contribuiscono anche a mantenere l’elasticità e la lubrificazione di tutte le cellule e si combinano con le proteine e il colesterolo per formare le membrane viventi che tengono unite le cellule del corpo.

Gli acidi grassi insaturi aiutano a regolare il tasso di coagulazione del sangue ed esplicano una funzione vitale nello scomporre il colesterolo depositato sulle pareti delle arterie. Sono essenziali per una attività ghiandolare normale, specialmente delle ghiandole surrenali e della tiroide. Gli acidi grassi insaturi nutrono le cellule della pelle e sono efficaci nel mantenere sane le mucose e i nervi.

Gli acidi grassi insaturi agiscono nell’organismo, collaborando con la vitamina D, nel rendere il calcio disponibile per i tessuti, nell’assimilazione del fosforo, e stimolando la trasformazione del carotene in vitamina A. Gli acidi grassi sono collegati ad un normale funzionamento del sistema riproduttivo.

 

I PUFA sono importanti per la salute delle membrane cellulari di tutto l’organismo, le quali permettono la comunicazione con l’esterno e lo scambio di sostanze ai fini metabolici.

 

Un’altra importante funzione dei PUFA riguarda il loro ruolo come precursori degli eicosanoidi, una famiglia di mediatori chimici che agiscono assieme modulando le risposte del nostro organismo e regolando in particolare i meccanismi dell’infiammazione.

 

Gli effetti benefici dei PUFA, come indicato in particolare nel documento del 2010 dell’agenzia alimentare europea EFSA, nonché da varie altre fonti della letteratura scientifica, potrebbero esplicarsi sulle concentrazioni plasmatiche di trigliceridi, sull’aggregazione piastrinica, e sulla pressione sanguigna; sul rischio di mortalità per malattie coronariche e morte cardiaca improvvisa; sulla salute cardiocircolatoria e della retina; sulle malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer.

 

Il consumo di PUFA può inoltre essere considerato come “cura” naturale in alcune particolari situazioni: per quanto riguarda l’infanzia, in studi preliminari i PUFA sono stati utilizzati nel trattamento di bambini con problemi di irascibilità, disturbi del sonno, disturbi dell’attenzione, dell’apprendimento e dislessia. Negli adulti, i PUFA possono essere una buona risposta ai problemi di circolazione linfatica, microcircolazione, modulazione insulinica nei diabetici di tipo II e per i disturbi associati a malattie infiammatorie (Crohn, psoriasi, artrite reumatoide, dermatite atopica) e alle condizioni di edema leggero. Questi dati, tuttavia, sono stati ottenuti da studi su soggetti onnivori cui sono stati somministrati integratori.

 

Possiamo subito fare una prima distinzione tra omega3 e omega6, che consiste nella numerazione degli atomi di carbonio lungo la catena che forma la loro molecola. I due tipi di PUFA a loro volta possono contenere un numero variabile di doppi legami e possono avere una catena più o meno lunga.

 

Esiste poi una seconda distinzione tra “precursori” e acidi grassi “in forma matura”, o “a catena lunga” (LCPUFAs). I precursori si ricavano dal cibo che consumiamo ogni giorno, subiscono delle trasformazioni all’interno del nostro organismo e diventano infine forme mature, biologicamente attive.

 

Il precursore degli omega3 si chiama Acido Alfa Linolenico (ALA). Il precursore degli omega6 è chiamato Acido Linoleico (LA). Da questi precursori si ottengono i PUFA a lunga catena (LCPUFAs), attraverso una cascata di reazioni che comportano l’azione di alcuni enzimi che compiono l’allungamento (dettoelongasi) e altri che si occupano di aggiungere doppi legami (processo dettodesaturasi).

 

Tra gli omega3, i più noti sono: EPA, DPA, DHA, che differiscono tra loro appunto per le caratteristiche suddette: lunghezza della catena di atomi di carbonio e numero di doppi legami. Questi sono gli acidi grassi “in foma matura”, vale a dire il risultato della “trasformazione”.

 

L’altro aspetto da considerare è “l’efficienza” della conversione dai precursori ai vari tipi LCPUFAs omega3. Ci concentriamo solo sugli omega3, perché gli omega6 sono molto facilmente ottenibili, in quanto l’alimentazione media ne é ricca (come vedremo poi, anche troppo ricca).

 

E’ stato stimato che la conversione di ALA (il precursore) in EPA (l’omega3 in forma matura) è del 5-10% negli uomini sani e la conversione in DHA è del 2-5%. Nelle donne l’efficienza di conversione è molto più alta, rispettivamente del 21% e 9% circa: questo certamente accade perché la donna ha bisogno di quantità maggiori di omega3 in gravidanza e allattamento.

 

Grazie alla chimica degli alimenti, sappiamo bene che gli omega6 sono ampiamente distribuiti negli alimenti di più diffuso consumo. Il problema è che sono troppo presenti nell’alimentazione media, e possono ostacolare la trasformazione degli omega3 dai precursori presenti nei cibi alla forma matura.

 

Questo accade perché gli stessi enzimi elongasi e desaturasi vengono utilizzati anche nella trasformazione degli omega6, a svantaggio della trasformazione degli omega3, che rimarranno in forma di precursori. Tale problema della “concorrenza” tra omega6 e omega3 può risultare in una riduzione fino al 40% della trasformazione degli omega3. Inoltre, le due classi di acidi grassi essenziali danno origine a tipologie di ecosanoidi con azione tra loro opposta (proinfiammatoria, protrombotica e aggregante, citoproliferativa), e solo un bilancio delle due tipologie può portare a una risposta ben modulata. Inoltre dalla trasformazione ulteriore di EPA deriva il DHA, ampiamente contento nel tessuto nervoso e nella retina.

 

Per far fronte a questa situazione occorre valutare le fonti alimentari per selezionare quelle con un rapporto omega6/omega3 più vantaggioso; tali alimenti sono i semi e l’olio di lino (1:4), le noci (4:1), i semi e l’olio di canapa (4:1). Svantaggioso è invece l’olio di girasole (62:1) o altri olii di semi.

 

Tutta la frutta secca contiene una buona concentrazione di entrambi i precursori della serie omega3 e omega6, in particolare le noci hanno il miglior rapporto omega6:omega3.

 

E’ noto inoltre che i semi di lino (da consumarsi macinati, oppure in forma di olio, ma solo se l’olio viene prodotto e commercializzato rispettando la catena del freddo) sono ottime fonti di ALA (omega3).

 

Per quanto riguarda le molecole in forma matura, vi sono solo due fonti: il pesce “grasso” e le alghe.

 

Perché i pesci sono ricchi di omega3 e come fanno gli animali onnivori a raggiungere una buona quota alimentare di PUFA maturi? Tutto dipende dal sistema della catena alimentare in cui un organismo funge da serbatoio per quello successivo. I pesci non sono molto più efficienti di noi nel sintetizzare dai precursori ma semplicemente ottengono gli acidi grassi essenziali già preformati (vale a dire in quella che abbiamo chiamato la “forma matura”) attraverso l’alimentazione e precisamente dalle alghe marine.

 

Oggi sono stati individuati i ceppi di tale alghe e attraverso il loro consumo si possono ottenere gli acidi grassi omega3 in forma matura, in modo molto più efficace, senza il devastante impatto ambientale della pesca e tutti gli sprechi e l’inquinamento ad essa associati, oltre ai danni per la salute che il consumo di pesce comporta.

 

Viene spesso sottolineato quanto il pesce sia ricco di acidi grassi omega3. Ma in realtà il pesce contiene vari grassi di diverso tipo. Tra il 15% e il 30% dei grassi nel pesce sono i soliti grassi saturi (cioè i grassi “cattivi”). Un po’ meno che nel manzo e nel pollo, ma molto, molto di più che nei vegetali. E il grasso del pesce fa ingrassare esattamente come il grasso del pollo o del maiale. Il pesce contiene inoltre molto colesterolo. I gamberi e altri crostacei hanno quasi il doppio di colesterolo rispetto al manzo.

 

Uno studio pubblicato nel 2008 sulla rivista scientifica Journal of the American Dietetic Association, che analizzava il contenuto di acidi grassi nei pesci più diffusi sul mercato, ha determinato che i pesci più venduti sono quelli a più basso contenuto di omega3 e che presentano caratteristiche pro-infiammatorie e quindi dannose alla salute. Tali pesci sono un cibo pericoloso per pazienti come i cardiopatici, quelli affetti da artrite, asma, o altre malattie autoimmunitarie, che sono particolarmente sensibili alle sostanze pro-infiammatorie (come quelle che derivano dall’acido arachidonico, la forma omega6 matura), in grado di alimentare una anomala risposta infiammatoria che può danneggiare i vasi, il cuore, i polmoni e le articolazioni.

 

Da un convegno del 2006 dei maggiori esperti nel campo della contaminazione da mercurio sono emerse raccomandazioni, pubblicate nel 2007 su Ambio (la rivista dell’Accademia Reale delle Scienze svedese) e riprese da varie autorità sanitarie nazionali, che invitano a mantenere molto bassi i consumi di pesce per donne in gravidanza e bambini al di sotto degli 11 anni, in quanto il mercurio e’ una neurotossina potente, e puo’ interferire nello sviluppo del cervello, riducendo l’intelligenza dei bambini, specie se esposti durante lo stadio fetale.

 

I pesci di allevamento, anziche’ pescati nei mari e fiumi, non sono piu’ “salutari”, perche’, se anche contengono meno mercurio, contengono un cocktail di antibiotici, farmaci in genere, sostanze chimiche presenti nei mangimi, cosicche’, come tutti gli altri animali d’allevamento intensivo, diventano un concentrato di sostanze chimiche.

Per quanto riguarda l’assunzione di omega3 da integratori di origine animale, il tradizionale integratore, disponibile prima della scoperta del funzionamento delle microalghe, era il tanto odiato (perché di pessimo sapore) “olio di fegato di merluzzo”, oggi disponibile in forma di capsule di olio di pesce insapori.

Si tratta di un prodotto che genera uno spreco di risorse e un impatto ambientale di vaste proporzioni: per una piccola quantità di olio di pesce, occorre pescare una quantità enorme di pesci. Attualmente tutte le “zone di pesca” del mondo sono state devastate dalla pesca selvaggia, e tutti gli esperti del settore concordano nell’affermare che la situazione non è più sostenibile.

Nel bambino, una sufficiente dose di omega3 permette un corretto sviluppo cerebrale. In assenza di tale quota, le forti richieste per la crescita tissutale potrebbero portare a problemi visivi e neuro-psicologici di varia entità in base al livello di carenza. Ovviamente anche in età fetale e neonatale lo sviluppo del tessuto nervoso richiederà una forte dose di queste sostanze che, in questo caso, diventa onere esclusivo della madre fornire.

 

Il sistema enzimatico di maturazione dei PUFA è ancora poco efficiente nel feto e nel neonato e gli omega3 devono essere assorbiti già in forma matura attraverso il latte materno e la placenta. Si è visto come nel plasma materno le concentrazioni dei precursori sono maggiori rispetto al plasma placentare (e quindi del feto), mentre gli acidi grassi in forma matura si trovano a maggiore concentrazione nel plasma placentare piuttosto che in quello materno. Questo è un sistema elegante che la natura ha escogitato per facilitare l’apporto di nutrienti al feto, in un momento di sviluppo nervoso così delicato.

 

Purtroppo, questo porta anche a un rapido depauperamento dei depositi materni, che si accentua molto con il susseguirsi delle gravidanze durante l’arco della vita. Ciò implica che tali acidi grassi essenziali potrebbero dover essere assunti dalla donna anche in forma matura e non solo come precursori.

 

Di norma, dunque, il corretto apporto di PUFA nelle donne in gravidanza e allattamento può essere ottenuto semplicemente dai precursori ricavati dall’alimentazione (dai cibi vegetali), appunto perché l’efficienza di trasformazione da precursori a omega 3 maturi è molto migliore nelle donne rispetto agli uomini.