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Otiti più a rischio con ciuccio e latte artificiale « dott. Mario Pacella

Otiti più a rischio con ciuccio e latte artificiale

Praticamente tutti i bambini con meno di tre anni hanno dovuto fare i conti almeno una volta con il mal d’orecchio. L’otite media è infatti uno dei problemi più comuni fra i piccoli, ma i pediatri riuniti a Firenze per il Congresso della Società Italiana di Infettivologia Pediatricaavvertono: esistono diversi fattori di rischio per l’otite che possono essere modificati per ridurre l’incidenza dell’infezione.

  I principali elementi che possono influenzare il rischio di mal d’orecchio sono la frequenza del nido o della scuola dell’infanzia, l’esposizione al fumo passivo, l’uso del ciuccio e l’allattamento artificiale. «Non frequentare il nido, secondo alcuni studi, può evitare un episodio di otite su cinque – spiega Paola Marchisio del Dipartimento di Scienze Materno-Infantili dell’università di Milano –. Anche adeguate misure igieniche nelle scuole materne, come un accurato lavaggio delle mani o l’uso di soluzioni alcoliche, può ridurre di poco meno del 30 per cento i casi di otite media. Allattare al seno il bimbo per almeno tre mesi riduce il rischio del 13 per cento, se si prosegue fino a sei mesi la probabilità di otiti cala del 50 per cento, con un effetto protettivo che si mantiene per tutto il primo anno di vita. In chi usa il ciuccio con continuità, invece, è stato dimostrato un incremento del rischio del 30 per cento». Allo stesso modo, anche il fumo passivo respirato dai bimbi fa male all’orecchio (e non solo). Il vaccino antinfluenzale invece sembrerebbe proteggere i bambini dalle otiti: un “effetto collaterale” della vaccinazione che i pediatri giudicano degno di nota soprattutto nei piccoli in cui il problema si presenta molto spesso.

Le otiti che non passano o si ripresentano di frequente, quattro volte in un anno o anche tre o più volte in appena sei mesi, sono il problema più sentito.. Quando l’otite torna entro breve tempo da un primo episodio, in due casi su tre è per colpa di batteri che stanno nel naso o nella faringe, diversi da quelli che hanno provocato il primo mal d’orecchio: per curare bene l’otite, quindi, bisogna scegliere una terapia che eradichi anche questi germi respiratori. In genere il disturbo migliora in 48-72 ore dall’inizio degli antibiotici, che spesso sono tuttora la prima scelta terapeutica (in un caso su quattro la prescrizione di antibiotici nei bambini dipende proprio da un’otite); tuttavia, soprattutto nei bambini che hanno una familiarità per le otiti o manifestano anche la febbre, e in particolar modo nei piccoli con meno di due anni, può capitare che i sintomi proseguano anche dopo tre giorni. «I fallimenti terapeutici sono strettamente correlati all’uso di molecole incapaci di eradicare il germe responsabile dell’otite: è essenziale una buona diagnosi e una scelta dell’antibiotico adeguato, in caso contrario la probabilità di non riuscire a risolvere il problema può arrivare anche al 60 per cento – dice Marchisio –. Bisogna poi sottolineare che la scomparsa dei sintomi e dei segni di infiammazione, che si ha talvolta anche senza ricorrere agli antibiotici, non è per forza segno di guarigione completa dell’orecchio medio: in una percentuale non irrilevante l’essudato segno di infezione batterica rimane per settimane o mesi dopo l’episodio. I dati indicano che circa sei bambini su dieci lo hanno dopo quattro settimane, il 46 per cento ancora dopo due mesi e in uno su tre persiste a tre mesi. È più probabile che accada nei bambini piccoli, che impiegano più tempo a risolvere completamente un’otite, ma deve essere considerato una normale evoluzione dell’infiammazione dell’orecchio». Non ci si deve preoccupare quindi, almeno finché non tornano i sintomi: in questi casi è opportuna una visita specialistica per individuare la cura più adatta, che elimini dall’orecchio ma anche dalle sue vicinanze tutti i batteri che possono provocare otiti.

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